martedì 26 novembre 2013

UN DIAVOLO MOLDAVO SEGUE LE EMIGRANTI

Quando una donna si trova nella condizione di emigrante ricerca sempre dei punti di appoggio, e quando è disponibile la Chiesa ortodossa la frequenta per sentirsi meno sola. Così ha fatto anche Maria, una moldava che però ricevette cosi tanta attenzione che spaventata si allontanò dalla chiesa.
            Il fatto è questo. Un giorno durante la celebrazione della messa a Maria si appannò la vista e svenne a terra.  Quando riprese i sensi aprendo gli occhi si trovò il prete che gli impartiva la benedizione mentre la sua amica gli sussurrava di concentrarsi sulle successive parole del prete perché erano importanti per risolvere la sua situazione.  A Maria mancava l'aria ma invece di aprire la finestra per farla riprendere le donne erano tutte con il capo chinato sopra di lei che, sdraiata in terra, vedeva solo i volti delle fedeli che pregavano insieme al prete. Insomma era considerata una peccatrice impossessata dal diavolo. La storia si ripeteva tutte le domeniche e ormai Maria era convinta di essere una peccatrice con l’aggravante che non era ancora riuscita ad  individuare quale fosse, tra i suoi peccati, quello così grave da esporla a quelle disonorevoli situazioni. Alla fine per la vergogna e per sfuggire gli sguardi delle connazionali fu costretta ad evitare di andare in chiesa.
            Successivamente trovò lavoro presso una amabile nonnina alla quale confidò quanto gli capitava andando in chiesa per via dei suoi peccati.  Per soddisfare la curiosità della nonnina raccontò  che la messa era svolta in un locale tanto piccolo e talmente affollato da sembrare di stare in un autobus nell'ora di punta, inoltre il rito imponeva il digiuno prima e durante le tre ore di durata della messa alla quale i fedeli dovevano partecipare restando in piedi per tutto il tempo,  infine le finestre erano sempre chiuse.    La nonnina stupefatta e sorridente cercò di farmi capire che non c'entravano i miei peccati e  mi fece riflettere  che quando una persona senza possibilità di una sana alimentazione, con uno stress emotivo per la situazione di emigrante ed un esaurimento mentale per la mancanza di lavoro si trova in un locale chiuso, sovraffollato, a digiuno e in piedi per tre ore facilmente può subire un collasso.  Tuttavia se la cosa non era occasionale ma si ripeteva era necessario consultare un medico e non un prete.
            Se ne convinse per il fatto che il prete non riusciva a scacciare questo diavolo. Si recò così dal dottore e dopo le analisi di rito gli venne diagnosticato una anemia mediterranea, malattia che causava i suoi malori. Cosi con buona pace del diavolo si curò e guarì.
            Tempo dopo incontrando una persona che aveva assistito ai suoi svenimenti in chiesa, Maria si senti chiedere se era riuscita a scacciare definitivamente il diavolo.  Chissà quali terribili peccati sono mai stati immaginati  a carico della povera Maria.

Autore: GLOBAL

giovedì 31 ottobre 2013

BIZZARRIE MOLDAVE:
Ero in un supermercato quando nel reparto frutta su un cumulo di arance vedo un cartello con scritto " Attenzione la buccia non è commestibile",  capisco che è rivolto a chi non conosce come si mangia quel frutto e mi viene subito una agitazione perché pochi giorni prima avevo inviato delle arance a polpa rossa a mia sorella in Moldova.   Appena rientro in casa telefono per sapere come le hanno mangiate e con sollievo mia sorella mi risponde subito che non le hanno mangiate  perché dopo sbucciate le hanno trovate tutte guaste,  forse a causa del trasporto.  Incredulo gli chiedo che tipo di avaria avessero subito le arance,  e mi racconta che fuori erano molto belle ma dentro erano di un brutto colore scuro quasi nero e cosi, senza neanche assaggiarle, le avevano gettate tutte via.
 Ai moldavi piace tanto bere per un fatto soprattutto culturale.  E' noto che il piacere del bere è associato alla gioia del convivio e dello stare insieme, ma per i moldavi il bere è collegato solo all'alcool, anzi deve essere un super alcoolico.  Quindi non è importante cosa contiene il bicchiere, importante è che brucia perché significa che è alcool e la festa riesce. Una sera mi unii agli uomini che erano in attesa della cena organizzata dalle rispettive mogli, costoro bevendo da una bottiglia senza etichetta mi offrono un bicchiere di alcoolico. Chiesi che tipo di alcoolico fosse,  ma fui invitato ad indovinare assaggiandolo. Il liquido era di colore un po' opaco e simile al cognac ma al sapore sentii solo una forte gradazione alcoolica senza alcun gusto di cognac. Ignorante in materia risposi che era un buon cognac ma assai poco invecchiato perché ancora non aveva sviluppato il tipico sapore di cognac.  Ridendo, e con orgoglio, mi spiegarono che si trattava di alcool etilico puro passato in un colino contente del the per dotarlo del colore del cognac.
Una badante moldava che da anni in Italia sosteneva la famiglia rimasta in patria. Per la lontananza aveva perso il marito il quale, chiesto il divorzio, si era risposato.  La poveretta resta in Italia e continua a mantenere la figlia agli studi  e solo dopo tanti anni di castità sentimentale incontra finalmente un uomo che accende in lei un sentimento di amore e risveglia le passioni dimenticate.  Nel confidare ad una amica la sua storia confessa candidamente la sua sorpresa per aver scoperto, contrariamente a quanto credeva,  che l'amore è un sentimento che si può vivere in modo coinvolgente anche dalla vita in giù e non solo dalla vita in su, come lei aveva sempre creduto e provato.

Autore: GLOBAL

domenica 6 ottobre 2013

L'ORGOGLIO DEL L'EMIGRANTE FALLITO



L'ORGOGLIO DEL L'EMIGRANTE FALLITO
Un emigrato in Argentina  viene rintracciato da un vecchio amico venuto dall'Italia. Si tratta di un incontro di due persone sfortunate che a modo loro cercano di apparire ciò che non sono.  In particolare il regista Dino Risi mette in risalto il dramma dell'emigrante che davanti al connazionale venuto a trovarlo tenta di nascondere la sua miserevole e sfortunata condizione raccontando successi inesistenti.  E' il dramma di tutti gli emigranti che non hanno raggiunto i risultati che avevano sognato prima di emigrare. La vicenda è ambientata in Argentina popolata per il 50% da emigranti italiani.  

RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE



IL RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE NELLA EMIGRAZIONE  ITALIANA ANNI CINQUANTA
Negli anni cinquanta l'emigrazione italiana dei disoccupati del sud  era diretta verso le ricche regioni del nord Italia. Il fenomeno viene raccontato da uno dei massimi registi italiani del  "neo realismo"  Luchino Visconti, il quale racconta  in questo episodio i sentimenti, le passioni e le sofferenza  di chi  vive l'esperienza della migrazione,  che è la stessa sotto ogni bandiera e sotto ogni cielo.

http://www.youtube.com/watch?v=2BQy4MuKjPE&feature=youtu.be

Due cuori.. una baracca



UN CATTIVO ESEMPIO ITALIANO. 

Nell'immaginario delle donne moldave l'uomo italiano è mitizzato, ma ciò corrisponde solo al desiderio di tutte le donne di incontrare un impossibile principe azzurro che per amore si prenda cura del loro destino.
Per sfatare questa credenza le donne moldave dovrebbero vedere questo episodio per comprendere che anche in Italia esistono modelli di uomini arretrati. La realtà raccontata nel film ancora esiste nei paesi più evoluti come anche nei paesi emergenti.
Nel film "Sesso matto" il regista Dino Risi racconta il comportamento deviato di una tipica coppia italiana povera e piena di figli. L'episodio descrive il comportamento caratteristico della sottocultura popolare nella quale l'affermazione della personalità maschile si realizza nella sottomissione della donna, la quale per tradizione, ignoranza e credenza popolare si auto convince che l'amore e la felicità coniugale si realizzano nella sofferenza, sottomissione e umiliazione. Ultime immagini di un Medio Evo che ancora sopravvive nella società del benessere.

http://www.youtube.com/watch?v=u3oQuwySbsQ&feature=youtu.be

giovedì 10 gennaio 2013


LA VIOLENZA SULLE DONNE

Alcool, credenze e sottocultura le cause comuni a tutti popoli

Recentemente ho assistito ad un intervento di sostegno ad una giovane donna moldava,  che qui chiameremo Maria,   impegnata a interrompere una relazione violenta.   Era accaduto che i colpi ricevuti dal marito erano stati cosi violenti che era dovuta andare all’ospedale. Una vera fortuna perché i medici una volta constatata la violenza subita  devono procedere per legge alla segnalazione alla polizia.    Maria sentendosi protetta dall’obbligo di legge, ma anche per l’intervento di una efficace associazione italiana che sostiene le donne oggetto di violenza, ha trovato il coraggio di farla finita con il marito.  Si convince ed anche lei sporge la denuncia che risulta decisiva per fare arrestare il marito, già irregolare e con i precedenti per furto sarà certamente rispedito oltre frontiera. 

Per comprendere la situazione dobbiamo dire che in questo caso la donna violentata aveva carattere, era decisa, lavorava, era giovane e carina, abbastanza maltrattata dal marito per decidere di farla finita  ed aveva trovato gli appoggi giusti per reagire con determinazione. Ma non sono tante le donne in queste condizioni per poter fare altrettanto.

Questa esperienza mi sono incuriosito ed ho indagato il problema. In Italia il fenomeno della violenza familiare è molto più esteso di quanto non si creda, anche se in Italia esistono leggi che condannano la violenza ed associazioni che ne sostengono le vittime. Proprio da una di queste associazioni ho appreso che le donne (non solo italiane), sono restie a denunciare i loro compagni o per scelte personali, dovute ad errate convinzioni, o per  condizionamenti esterni.

Tra le scelte personali la causa principale del silenzio è dovuto alla credenza   che l’amore incondizionato possa fare il miracolo di far diventare buono il proprio uomo, una seconda motivazione è la vergogna della separazione davanti ai parenti e  alla comunità. Seguono il timore di lasciare i figli senza padre e il timore di successive reazioni dell’uomo violento.

Tra i condizionamenti esterni (quindi indipendenti dalla volontà della donna), sono la mancanza di protezione sociale per affrontare il lungo, costoso ed incerto percorso della separazione che mette sempre a rischio l’affidamento dei figli,   la mancanza di protezione successiva alla separazione e la mancanza di autonomia economica per se e per i figli. Infine ci sono anche i familiari ed amici che con avvertimenti insensati e critiche mal poste condizionano la già faticosa  scelta della separazione.

Gli effetti delle violenze subite sono state classificate in tre diversi aspetti. Con conseguenze fisiche,  con lividi, fratture e lesioni di organi interni. Conseguenze sessuali con infertilità, impotenza, infiammazioni, infezioni e frigidità.  E soprattutto conseguenze psicologiche con  depressione, ansia, fobie, panico, insonnia, alcoolismo, droga,  stress, psicosi, disturbo della personalità ed infine suicidio.  

Causa di tutte queste conseguenze sulle donne è l’uomo violento che,  quando in modo animalesco  esercita la funzione riproduttiva viene classificato stupratore, ma questo è tuttavia un evento spesso occasionale.  Infatti nel caso dell’uomo che convive con la sua donna , alla semplice violenza della funzione riproduttiva si aggiunge la necessità di soddisfare il proprio ego,  di esaltare il proprio potere, esercitare il proprio possesso sulla donna misurando il grado di devozione e di sottomissione della propria compagna  della quale deve avere piena, incondizionata e totale disponibilità fisica e mentale. In genere l’uomo violento, è ignorante, privo di cultura e di dignità, non è mai disposto a perdere l’oggetto del suo potere  quindi  è pronto a inginocchiarsi,  piangere, promettere e implorare la propria donna quando questa decidesse di abbandonarlo perché è riuscita a comprendere l’ inutilità della sua devozione amorosa e quindi disposta ad accettare il fallimento dei suoi sentimenti.

L’esperienza insegna che le donne hanno una solo modo per sottrarsi a questo calvario che le segnerà per tutta la vita,   interrompere immediatamente la relazione al primo manifestarsi di violenza. Infatti è accertato che la violenza (fisica e/o psicologica), esercitata in ambito sentimentale è sintomo di devianza recuperabile solo  in ambito sanitario. E’ stato anche accertato che il primo episodio di violenza crea nella vittima una sorpresa ed umiliazione tanto profonda che se non reagisce subito si instaura nella donna un senso di colpa e una diversa considerazione di se stessa che la obbliga a sopportare livelli e frequenze sempre più elevati di violenza, fino ad entrare nella sindrome di Stoccolma, ovvero una condizione psicologica di completa sottomissione che arriva alla totale dipendenza affettiva dal proprio aggressore senza più alternative.     

In Moldova come in tutti i paesi in via di sviluppo esistono condizioni ancor più favorevoli agli uomini che usano violenza alle mogli.  Tra queste le più evidenti sono la necessita per le donne di sposarsi troppo  presto per uscire dalla casa dei genitori,  la difficoltà per le donne di giungere ad una autonomia  economica e, soprattutto, la diffusione dell’alcool che maschera  quasi sempre le vere intenzioni dei violenti, infine alcuni antichi e deleteri detti e credenze popolari che dovrebbe presto essere abbandonati e relegati alla memoria del folklore e delle vecchie tradizioni.

Mi riferisco ad alcuni proverbi tramandati oralmente da generazione in generazione, quasi certamente risalenti ai tempi del medio evo,  (“la moglie  non  picchiata è come una casa non scopata, non pulita”;    “in casa comanda chi porta capello”; “ pichiata, sco…ta, e al matrimonio portata” - “batuta, f---ta, si la nunta dusa”  e.c.t). Probabilmente vengono ripetuti meccanicamente da nonne e madri  le quali  non percepiscono che la società è un organo vivente che si trasforma sempre più velocemente, che produce nuovi comportamenti e modelli sociali in sostituzione di vecchi costumi e credenze che prima vengono consegnati alla storia più il Paese cresce culturalmente e si diffonde il benessere.

Ma torniamo a Maria. Si era sposata molto giovane aveva già un figlio in Moldova abbastanza grande e da emigrata regolare aveva fatto venire il marito  il quale, anche se in attesa di una occasione di regolarizzazione, non aveva perso l’abitudine di ubriacarsi  e di esercitare violenza sull’oggetto del suo piacere.  La convivenza con questi uomini accelera sempre la maturità della compagna la quale sopporta tutto il peso delle incapacità tipiche degli alcolizzati.  Infatti era stata lei a trovare la casa, a sottoscrivere i contratti delle utenze e,  con gusto e decoro, a  trovare  la mobilia  con pochi euro. 

Oggi  Maria finalmente libera dal peso del marito, vive sotto protezione dell’Associazione, in un luogo al riparo da conoscenti, amici e parenti, ha un nuovo lavoro ed è assistita in tutti gli aspetti giuridici per poter affermare il pieno diritto alla sua libertà e realizzare il ricongiungimento del figlio.  Con l’occasione si è anche liberata dalla soggezione di una credenza popolare, infatti la suocera, attraverso un foglio scritto lasciatogli sul suo letto, la minacciava di aver “pagato la chiesa affinché ogni male possibile ricadesse su di lei.   Maria impaurita,  ci aveva mostrato quel biglietto ma dopo aver discusso e spiegato la comicità di questa assurda tradizione  tutti insieme siamo scoppiati a ridere.

Leggendo questa storia le donne moldave potrebbero facilmente trarre errate conclusioni, la più comune è quella di considerare gli uomini italiani migliori, ma non è affatto così. A riprova che non si deve mai generalizzare  mi viene in mente la vicenda di una donna moldava accompagnata con un italiano, con il quale ha avuto una figlia e la cui storia presenta aspetti assai più  inquietanti di questa. Ma appunto questa sarebbe un'altra storia. 

Non si deve rimanere indifferenti a queste disgraziate situazioni perché infine queste storie riguardano tutta la collettività. Infatti i danni della violenza in famiglia per la società sono enormi e  si calcolano in costi per interventi  sanitari,  per le forze dell’ordine e per la giustizia. Tutti danni a carico della collettività,  come anche gli effetti indotti della inabilità o inefficienza lavorativa di tutti i  soggetti che restano coinvolti in tali vicende. 

Ogni Stato  dovrebbe avere l’interesse a fare in modo che la violenza domestica venga estirpata,  soprattutto prevenendola attraverso l’ educazione dei giovani,  e reprimendo i comportamenti violenti in modo esemplare, come appunto avveniva sotto i sovietici che punivano l’uomo che usava violenza alla moglie in modo ammirevole ( “pe 10 sutce” - richiuso a 10 giorni) Il colpevole infatti veniva applicato a lavori di strada sotto il controllo della polizia e lo sguardo dei cittadini che alla presenza di tale scena potevano leggere chiaramente la colpa del condannato, perché  tale punizione veniva inflitta a chi usava violenza alle donne.

Un metodo rieducativo originale, semplice, efficace  e straordinariamente moderno, ma erroneamente abbandonato e relegato alla memoria della Moldova sovietica. Un metodo che personalmente introdurrei in Italia.  

Autore GLOBAL, 2012