giovedì 10 gennaio 2013


LA VIOLENZA SULLE DONNE

Alcool, credenze e sottocultura le cause comuni a tutti popoli

Recentemente ho assistito ad un intervento di sostegno ad una giovane donna moldava,  che qui chiameremo Maria,   impegnata a interrompere una relazione violenta.   Era accaduto che i colpi ricevuti dal marito erano stati cosi violenti che era dovuta andare all’ospedale. Una vera fortuna perché i medici una volta constatata la violenza subita  devono procedere per legge alla segnalazione alla polizia.    Maria sentendosi protetta dall’obbligo di legge, ma anche per l’intervento di una efficace associazione italiana che sostiene le donne oggetto di violenza, ha trovato il coraggio di farla finita con il marito.  Si convince ed anche lei sporge la denuncia che risulta decisiva per fare arrestare il marito, già irregolare e con i precedenti per furto sarà certamente rispedito oltre frontiera. 

Per comprendere la situazione dobbiamo dire che in questo caso la donna violentata aveva carattere, era decisa, lavorava, era giovane e carina, abbastanza maltrattata dal marito per decidere di farla finita  ed aveva trovato gli appoggi giusti per reagire con determinazione. Ma non sono tante le donne in queste condizioni per poter fare altrettanto.

Questa esperienza mi sono incuriosito ed ho indagato il problema. In Italia il fenomeno della violenza familiare è molto più esteso di quanto non si creda, anche se in Italia esistono leggi che condannano la violenza ed associazioni che ne sostengono le vittime. Proprio da una di queste associazioni ho appreso che le donne (non solo italiane), sono restie a denunciare i loro compagni o per scelte personali, dovute ad errate convinzioni, o per  condizionamenti esterni.

Tra le scelte personali la causa principale del silenzio è dovuto alla credenza   che l’amore incondizionato possa fare il miracolo di far diventare buono il proprio uomo, una seconda motivazione è la vergogna della separazione davanti ai parenti e  alla comunità. Seguono il timore di lasciare i figli senza padre e il timore di successive reazioni dell’uomo violento.

Tra i condizionamenti esterni (quindi indipendenti dalla volontà della donna), sono la mancanza di protezione sociale per affrontare il lungo, costoso ed incerto percorso della separazione che mette sempre a rischio l’affidamento dei figli,   la mancanza di protezione successiva alla separazione e la mancanza di autonomia economica per se e per i figli. Infine ci sono anche i familiari ed amici che con avvertimenti insensati e critiche mal poste condizionano la già faticosa  scelta della separazione.

Gli effetti delle violenze subite sono state classificate in tre diversi aspetti. Con conseguenze fisiche,  con lividi, fratture e lesioni di organi interni. Conseguenze sessuali con infertilità, impotenza, infiammazioni, infezioni e frigidità.  E soprattutto conseguenze psicologiche con  depressione, ansia, fobie, panico, insonnia, alcoolismo, droga,  stress, psicosi, disturbo della personalità ed infine suicidio.  

Causa di tutte queste conseguenze sulle donne è l’uomo violento che,  quando in modo animalesco  esercita la funzione riproduttiva viene classificato stupratore, ma questo è tuttavia un evento spesso occasionale.  Infatti nel caso dell’uomo che convive con la sua donna , alla semplice violenza della funzione riproduttiva si aggiunge la necessità di soddisfare il proprio ego,  di esaltare il proprio potere, esercitare il proprio possesso sulla donna misurando il grado di devozione e di sottomissione della propria compagna  della quale deve avere piena, incondizionata e totale disponibilità fisica e mentale. In genere l’uomo violento, è ignorante, privo di cultura e di dignità, non è mai disposto a perdere l’oggetto del suo potere  quindi  è pronto a inginocchiarsi,  piangere, promettere e implorare la propria donna quando questa decidesse di abbandonarlo perché è riuscita a comprendere l’ inutilità della sua devozione amorosa e quindi disposta ad accettare il fallimento dei suoi sentimenti.

L’esperienza insegna che le donne hanno una solo modo per sottrarsi a questo calvario che le segnerà per tutta la vita,   interrompere immediatamente la relazione al primo manifestarsi di violenza. Infatti è accertato che la violenza (fisica e/o psicologica), esercitata in ambito sentimentale è sintomo di devianza recuperabile solo  in ambito sanitario. E’ stato anche accertato che il primo episodio di violenza crea nella vittima una sorpresa ed umiliazione tanto profonda che se non reagisce subito si instaura nella donna un senso di colpa e una diversa considerazione di se stessa che la obbliga a sopportare livelli e frequenze sempre più elevati di violenza, fino ad entrare nella sindrome di Stoccolma, ovvero una condizione psicologica di completa sottomissione che arriva alla totale dipendenza affettiva dal proprio aggressore senza più alternative.     

In Moldova come in tutti i paesi in via di sviluppo esistono condizioni ancor più favorevoli agli uomini che usano violenza alle mogli.  Tra queste le più evidenti sono la necessita per le donne di sposarsi troppo  presto per uscire dalla casa dei genitori,  la difficoltà per le donne di giungere ad una autonomia  economica e, soprattutto, la diffusione dell’alcool che maschera  quasi sempre le vere intenzioni dei violenti, infine alcuni antichi e deleteri detti e credenze popolari che dovrebbe presto essere abbandonati e relegati alla memoria del folklore e delle vecchie tradizioni.

Mi riferisco ad alcuni proverbi tramandati oralmente da generazione in generazione, quasi certamente risalenti ai tempi del medio evo,  (“la moglie  non  picchiata è come una casa non scopata, non pulita”;    “in casa comanda chi porta capello”; “ pichiata, sco…ta, e al matrimonio portata” - “batuta, f---ta, si la nunta dusa”  e.c.t). Probabilmente vengono ripetuti meccanicamente da nonne e madri  le quali  non percepiscono che la società è un organo vivente che si trasforma sempre più velocemente, che produce nuovi comportamenti e modelli sociali in sostituzione di vecchi costumi e credenze che prima vengono consegnati alla storia più il Paese cresce culturalmente e si diffonde il benessere.

Ma torniamo a Maria. Si era sposata molto giovane aveva già un figlio in Moldova abbastanza grande e da emigrata regolare aveva fatto venire il marito  il quale, anche se in attesa di una occasione di regolarizzazione, non aveva perso l’abitudine di ubriacarsi  e di esercitare violenza sull’oggetto del suo piacere.  La convivenza con questi uomini accelera sempre la maturità della compagna la quale sopporta tutto il peso delle incapacità tipiche degli alcolizzati.  Infatti era stata lei a trovare la casa, a sottoscrivere i contratti delle utenze e,  con gusto e decoro, a  trovare  la mobilia  con pochi euro. 

Oggi  Maria finalmente libera dal peso del marito, vive sotto protezione dell’Associazione, in un luogo al riparo da conoscenti, amici e parenti, ha un nuovo lavoro ed è assistita in tutti gli aspetti giuridici per poter affermare il pieno diritto alla sua libertà e realizzare il ricongiungimento del figlio.  Con l’occasione si è anche liberata dalla soggezione di una credenza popolare, infatti la suocera, attraverso un foglio scritto lasciatogli sul suo letto, la minacciava di aver “pagato la chiesa affinché ogni male possibile ricadesse su di lei.   Maria impaurita,  ci aveva mostrato quel biglietto ma dopo aver discusso e spiegato la comicità di questa assurda tradizione  tutti insieme siamo scoppiati a ridere.

Leggendo questa storia le donne moldave potrebbero facilmente trarre errate conclusioni, la più comune è quella di considerare gli uomini italiani migliori, ma non è affatto così. A riprova che non si deve mai generalizzare  mi viene in mente la vicenda di una donna moldava accompagnata con un italiano, con il quale ha avuto una figlia e la cui storia presenta aspetti assai più  inquietanti di questa. Ma appunto questa sarebbe un'altra storia. 

Non si deve rimanere indifferenti a queste disgraziate situazioni perché infine queste storie riguardano tutta la collettività. Infatti i danni della violenza in famiglia per la società sono enormi e  si calcolano in costi per interventi  sanitari,  per le forze dell’ordine e per la giustizia. Tutti danni a carico della collettività,  come anche gli effetti indotti della inabilità o inefficienza lavorativa di tutti i  soggetti che restano coinvolti in tali vicende. 

Ogni Stato  dovrebbe avere l’interesse a fare in modo che la violenza domestica venga estirpata,  soprattutto prevenendola attraverso l’ educazione dei giovani,  e reprimendo i comportamenti violenti in modo esemplare, come appunto avveniva sotto i sovietici che punivano l’uomo che usava violenza alla moglie in modo ammirevole ( “pe 10 sutce” - richiuso a 10 giorni) Il colpevole infatti veniva applicato a lavori di strada sotto il controllo della polizia e lo sguardo dei cittadini che alla presenza di tale scena potevano leggere chiaramente la colpa del condannato, perché  tale punizione veniva inflitta a chi usava violenza alle donne.

Un metodo rieducativo originale, semplice, efficace  e straordinariamente moderno, ma erroneamente abbandonato e relegato alla memoria della Moldova sovietica. Un metodo che personalmente introdurrei in Italia.  

Autore GLOBAL, 2012

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